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Foto di D koi su Unsplash

Autrice: Aloisa Ferrero

Il ruolo della cattura di CO2 nel processo di decarbonizzazione

Il report prodotto dall’International Energy Agency (IEA), “Net Zero by 2050 – A Roadmap for the Global Energy Sector” individua nei processi di cattura, stoccaggio e riutilizzo della CO2, uno strumento fondamentale per ottenere emissioni nette nulle entro il 2050. Le tecnologie di CCUS (Carbon Capture Utilization and Storage) permetteranno di affrontare il processo di riduzione delle emissioni nei settori “hard-to-abate”, di incrementare la produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio e favorire la rimozione della CO2 già presente in atmosfera attraverso i sistemi BECCS (BioEnergy with CO2 Capture and Storage) e DAC (Direct Air Capture).

La roadmap individua come obiettivo, su scala mondiale, la cattura di 1.670 Mt CO2/anno entro il 2030 e 7.600 Mt CO2/anno nel 2050.

Accanto agli altri pilastri chiave della decarbonizzazione (produzione di energia da fonti rinnovabili, efficienza energetica, elettrificazione, etc.), il potenziamento delle tecnologie per la cattura della CO2 ha lo specifico obiettivo di favorire l’abbattimento delle emissioni per quei settori in cui risulta ancora estremamente difficile ottenere l’indipendenza dai combustibili fossili.

Si pensi ad esempio ai processi industriali che necessitano sia di acqua calda/vapore ad alte temperature (> 200°C) che di energia elettrica. Rinunciare alle fonti fossili richiederebbe di sostituire il combustibile più utilizzato, ossia il gas naturale, con equivalenti rinnovabili, come il biogas, ad oggi ancora scarsamente disponibile, oppure affidandosi a pompe di calore alimentate da pannelli fotovoltaici o turbine eoliche, che, con tali temperature in mandata, rappresentano per ora solo dei modelli in fase di sviluppo.

Anche per quanto riguarda la produzione di energia elettrica, le attuali centrali termoelettriche a gas svolgono un insostituibile funzione di bilanciamento della rete. Nel caso in cui la produzione da rinnovabile sia inferiore del previsto, o i consumi maggiori, o si verifichino guasti agli impianti a copertura del carico di base, il ciclo combinato costituisce una riserva di potenza istantanea che consente di inseguire i picchi e ripristinare l’equilibrio con la domanda. Una produzione 100% da fonti rinnovabili richiederebbe l’impiego di batterie elettriche per l’accumulo, ancora estremamente costose e non adatte a compensare variazioni su periodi prolungati, come durante l’inverno. Anche gli accumuli stagionali basati sull’idrogeno verde risultano di complessa applicazione e caratterizzati da rendimenti tutt’ora limitati.

L’implementazione di sistemi di cattura della CO2 su impianti alimentati da combustibili fossili potrebbe rappresentare la soluzione per accelerare nel breve termine la decarbonizzazione e renderla economicamente sostenibile. Questi potrebbero essere economicamente competitivi già nel breve termine e integrarsi con le fonti rinnovabili come sistema di back-up. Nel frattempo, proseguendo la ricerca e lo sviluppo sui sistemi a fonte rinnovabile e sulle tecnologie di accumulo, sarebbe possibile incrementarne l’efficienza e ridurne i costi: tali tecnologie saranno, infatti, indispensabili per raggiungere gli obiettivi previsti per il 2050 ed azzerare l’uso dei combustibili fossili.

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Stato dell’arte e prospettive future

La cattura della CO2 è possibile grazie a processi di separazione dei gas già noti da decenni nell’industria chimica. L’anidride carbonica, una volta catturata, può essere sequestrata in siti di stoccaggio permanenti (formazioni geologiche sotterranee o giacimenti di gas esauriti), oppure riutilizzata per produrre altri materiali contenenti carbonio, come cemento, plastiche e biocombustibili. Nel primo caso si parla di CCS, ossia Carbon Capture and Storage, nel secondo di CCU, Carbon Capture and Utilization; se sottoposta ad entrambe le operazioni si definisce, infine, CCUS, Carbon Capture Utilization and Storage.
Il processo di CCS si compone di tre fasi: cattura, trasporto e stoccaggio. Ogni stadio è tecnicamente disponibile ed utilizzato in differenti settori industriali da numerosi anni, ma l’applicazione congiunta a sorgenti di emissione di CO2 è risultata fino ad ora poco praticabile, sia in termini energetici che economici, limitandone quindi l’applicazione su vasta scala. Recentemente, un’alternativa correlata a CCS, ovvero il CCU, ha iniziato ad attirare l’attenzione perché, trasformando le emissioni di CO2 di scarico in prodotti di valore consente di ottenere, al termine del processo, un ritorno economico in grado di bilanciare i costi sostenuti.

Processi per la cattura CO2: tre categorie

I processi per la cattura CO2 possono essere raggruppati in tre grandi categorie:

  • Cattura post-combustione: la tecnologia più comune si basa su processi di assorbimento con solventi affini alla CO2, come le ammine in soluzione acquosa, con rendimenti fino al 90%. Esistono anche altre tecnologie, come le membrane polimeriche, i materiali adsorbenti innovativi, i solventi innovativi (come gli aminoacidi) e le celle a combustibile a carbonati fusi (MCFC). Il vantaggio principale della tecnologia risiede nella possibilità di applicazioni in retrofitting su impianti esistenti, mentre il punto critico è rappresentato dall’aumento del costo associato ai numerosi componenti aggiuntivi da installare e alla riduzione del rendimento dell’impianto a causa del consumo di calore per rigenerare il solvente.
  • Cattura pre-combustione: avviene a monte del processo di combustione, convertendo il combustibile di partenza in idrogeno e anidride carbonica, tramite processi di reforming o di gassificazione e poi catturando la CO2 tramite assorbimento o adsorbimento. Nonostante i costi di investimento siano superiori alle altre soluzioni, la contemporanea produzione di idrogeno blu può risultare molto competitiva potendo questo essere utilizzato per produrre energia elettrica, per l’industria chimica o per la mobilità. E’, inoltre, possibile la produzione di idrogeno da biomassa con cattura di CO2, per ottenere sistemi ad emissioni negative.
  • Ossi-combustione: consiste in un primo processo di separazione dell’ossigeno dall’azoto, che consente di utilizzare solo il flusso di ossigeno per il processo di combustione. I prodotti di combustione, non essendo diluiti dall’azoto dell’aria, contengono quasi esclusivamente acqua e CO2: quest’ultima viene, quindi, separata per semplice raffreddamento e condensazione dell’acqua. I cicli ad ossi-combustione, sebbene richiedano una riprogettazione integrale dell’impianto, sono tra le tecnologie più promettenti grazie all’assenza di ulteriori emissioni inquinanti, di solventi chimici e grazie a rendimenti di separazione prossimi al 100%.

Sul fronte della CCU, attraverso la carbonatazione, un processo che consente di immagazzinare la CO2 in matrici solide, è possibile realizzare materiali per l’edilizia, come aggregati per calcestruzzo, mattoni e refrattari in genere. Si studiano, inoltre, processi catalitici alimentati con gli eccessi dell’energia elettrica da fonte rinnovabile, che hanno come obiettivo la conversione della CO2 e dell’H2O in combustibili verdi a base di carbonio.

Il primo impianto commerciale CCS al mondo è stato lo Sleipner project, attivo dal 1996 nel Mare del Nord, che purifica il gas naturale dalla CO2 con tecnologia basata sulle ammine, iniettando poi in un giacimento esausto. Relativamente alla tecnica CCS di post-combustione, uno dei casi studio più rilevanti si trova al Technology Center di Mongstad (Norvegia) dove vengono testati vari tipi di solventi. L’ENEA è impegnata con diversi progetti nel campo della CCU e, presso il Politecnico di Milano, il gruppo GECOS, fa ricerca su sistemi di cattura CO2 da oltre 25 anni individuando, in particolare, cicli ad ossi-combustione per power generation (Allam e SCOC-CC) che presentano rendimenti e costi molto promettenti. L’azienda americana Net Power ha costruito un impianto dimostrativo di scala industriale da 25 MW del ciclo Allam.

Infine, la cattura e lo stoccaggio della CO2 consentono di ottenere sistemi ad emissioni negative, se questa è prelevata direttamente dall’aria con sistemi di Direct Air Capture o indirettamente da biomassa con sistemi Bioenergy with CO2 Capture and Storage (BECCS). Queste tecnologie diverranno preziose nel lungo periodo per compensare le fonti di emissioni distribuite e difficilmente evitabili, ad esempio dal settore agricolo, e l’eccesso di emissioni prodotte durante la transizione energetica. Il primo impianto DAC di larga scala è entrato in funzione recentemente in Islanda. E’ costituito da otto container, con una capacità di cattura annua di 500 t di CO2 ciascuno. L’aria viene aspirata all’interno di un collettore dove è posto un filtro che trattiene le particelle di anidride carbonica. Quando il filtro è saturo, il collettore si chiude e viene riscaldato a circa 100°C, producendo il rilascio della CO₂ che viene pompata con acqua in un giacimento profondo. Il processo avviene utilizzando calore di scarto o prodotto da fonti rinnovabili.

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