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Autore: Giangiacomo Sommariva
La carbon footprint o anche “impronta di carbonio” rappresenta la quantità di gas serra che vengono emesse da un prodotto, processo industriale, organizzazione o persona. La carbon footprint è dunque un indicatore chiave per misurare l’impatto delle attività umane sul cambiamento climatico.
Esistono diversi tipi di gas serra, alcuni dei quali sono presenti naturalmente nell’atmosfera ma possono anche essere generati dalle attività umane. Questi gas svolgono un ruolo fondamentale nel mantenere la Terra abitabile, intrappolando parte della radiazione solare e mantenendo il pianeta più caldo di quanto sarebbe senza di essi.
Ogni gas serra ha un potenziale di riscaldamento globale (Global Warming Potential, GWP), indicatore che misura la capacità di un gas di intrappolare calore nell’atmosfera rispetto alla CO2, che è presa come riferimento con un valore pari a 1. Questa misurazione permette di rappresentare l’effetto complessivo delle emissioni quando più gas serra sono presenti insieme, consentendo un’analisi più accurata dell’impatto delle attività umane sul cambiamento climatico e quindi della carbon footprint. Di seguito si riportano in tabella i principali gas serra e il loro relativo GWP calcolato in un intervallo temporale di 100 anni.
COMPOSTO / MOLECOLA | GWP (100 anni) |
Anidride carbonica (CO2) | 1 |
Metano (CH4) | 21 |
Protossido di azoto (N2O) | 310 |
R134a | 1.430 |
R410a | 2.088 |
Esafluorato di zolfo (SF6) | 23.900 |
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Politiche e regolamentazioni
A partire dal Protocollo di Kyoto del 1997 e a seguire con l’Accordo di Parigi firmato nel 2015 da 177 paesi, l’Unione Europea e i suoi Stati membri hanno intrapreso un lungo percorso verso la lotta al cambiamento climatico. L’Unione Europea ha lanciato il “Green New Deal” con l’obiettivo di rendere tutti i paesi del vecchio continente a impatto climatico zero entro il 2050 ponendo come obiettivo intermedio la riduzione delle emissioni del 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030.
Per assicurarsi il raggiungimento di questo importante obiettivo è stato istituito un mercato di scambio di quote di emissioni, l’EU ETS, un sistema cap-and-trade in cui le aziende devono acquistare i permessi per emettere CO2, incentivando così la riduzione delle emissioni. Tale sistema obbliga diverse categorie di impianti industriali a parteciparvi, quali i grandi centri di produzione di energia elettrica e termica, i siti industriali ad alta intensità energetica, le acciaierie, gli impianti di produzione di ferro, metalli, cemento, l’aviazione civile e altre ancora, arrivando a ricoprire così il 23% delle emissioni globali.
I proventi, che nel 2022 ammontavano a circa 22,5 miliardi di euro, vengono stanziati a progetti per il clima e l’energia come, ad esempio, in iniziative per promuovere le energie rinnovabili, nel settore dei trasporti, in progetti di efficienza energetica ma anche per contenere gli effetti della recente crisi energetica.
Figura 1. Ricavi generati dal mercato EU ETS. (fonte: European Environment Agency)
Parallelamente, l’Unione Europea ha adottato anche una serie di normative mirate a specifici settori industriali per ridurre le emissioni di gas serra. Tra queste, la Direttiva sulle Energie Rinnovabili e la Direttiva sull’Efficienza Energetica fissano obiettivi vincolanti per incrementare la quota di energie rinnovabili e migliorare l’efficienza energetica entro il 2030. Inoltre, la Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), che entrerà progressivamente in vigore a partire dal 2026, mira a evitare il cosiddetto “carbon leakage”, imponendo un costo del carbonio sui prodotti importati da paesi con normative ambientali meno stringenti. Il “carbon leakage” si riferisce alla situazione che potrebbe verificarsi se, per ragioni di costi legate alle politiche climatiche, le aziende trasferissero la produzione in altri paesi con vincoli di emissione più flessibili. Ciò potrebbe portare a un aumento delle loro emissioni totali.
In Italia, il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) prevede l’adozione di misure specifiche per il settore industriale, tra cui incentivi per l’innovazione tecnologica e la decarbonizzazione, oltre al rafforzamento delle politiche di efficientamento energetico e di promozione delle energie rinnovabili. Questi sforzi congiunti si inseriscono nel quadro più ampio del pacchetto Fit for 55, che comprende una serie di regolamenti volti a ridurre le emissioni di gas serra in modo trasversale in tutti i settori economici.
Dove siamo arrivati oggi?
Guardando i dati della carbon footprint nel 2019, nell’Unione Europea, il settore per la produzione di energia è responsabile del 77,1% delle emissioni di gas serra, di cui circa un terzo attribuibile al settore dei trasporti. La quota rimanente di emissioni proviene per il 10,55% dall’agricoltura, per il 9,10% dai processi industriali e di utilizzo del prodotto e per il 3,32% dalla gestione dei rifiuti.
Nello stesso anno, l’Italia si posiziona in quarta posizione tra i maggiori emettitori dell’Unione Europea, con 418 MTonCO2 (circa il 10% del totale) preceduta solo da Germania, Regno Unito (nel 2019 faceva parte ancora dell’UE) e Francia.
In Italia, nel 2021, le emissioni totali di gas serra, espresse in CO2 equivalente, sono diminuite del 20% rispetto all’anno di riferimento, il 1990, passando da 521 a 418 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Questa riduzione è conseguenza da un lato della riduzione dei consumi energetici e delle produzioni industriali a causa della crisi economica e della delocalizzazione di alcuni settori produttivi, dall’alto della crescita della produzione di energia da fonti rinnovabili e di un incremento dell’efficienza energetica.
Figura 2. Emissioni nazionali di gas climalteranti dal 1990 al 2021 per gas. (fonte: ISPRA)
La strada davanti a noi
Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) rappresenta la strategia dell’Italia per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni entro il 2030. Al 2021, il nostro paese emette, come già riportato, circa 418 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, ma l’obiettivo fissato per il 2030 è ridurre questa cifra a circa 220-230 Mton, pari al 45% delle emissioni del 1990.
Per raggiungere questo traguardo, il PNIEC si basa su tre pilastri principali: l’incremento delle fonti rinnovabili, il miglioramento dell’efficienza energetica e la riduzione diretta delle emissioni di gas serra. In particolare, il piano punta a raggiungere una quota del 30% di energia da fonti rinnovabili nei consumi finali, mentre l’efficienza energetica dovrà migliorare del 43% rispetto allo scenario di riferimento PRIMES 2007.
Inoltre, il PNIEC distingue tra settori coperti dal sistema ETS e settori “non-ETS”, con obiettivi di riduzione rispettivamente del 43% e del 33% rispetto ai livelli del 2005. Questo sforzo richiederà non solo investimenti tecnologici e infrastrutturali, ma anche un forte coordinamento tra pubblico e privato per accelerare la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.
In conclusione, è possibile dire che la decarbonizzazione dell’economia richiede una radicale trasformazione del sistema energetico e un rilevante cambiamento dei modi di produrre, spostarsi, abitare. Il processo è caratterizzato da molteplici fattori e incertezze che rendono complesso individuare un’evoluzione unica in orizzonti temporali di medio-lungo termine. La vera sfida per la lotta al cambiamento climatico sarà dunque essere in grado di trovare nuove soluzioni tecnologiche e di governance capaci di conciliare la crescita economica con la sostenibilità ambientale.
ISPRA: Strategia italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra. (Gennaio 2021)
https://emissioni.sina.isprambiente.it/scenari-delle-emissioni/